Vividown e il processo a Google
Category : Volontariato
Published by beppe on 04-Feb-2009 21:30

In questi giorni è iniziato a Milano il processo contro alcuni dirigenti di Google per l'episodio, avvenuto nel 2006, di alcuni ragazzi che avevano postato su Google Video (un servizio ora chiuso simile a YouTube) un filmato che riprendeva le loro angherie contro un compagno down. Dopo aver ricevuto segnalazione del fatto, Google rimosse il video, e gli autori furono individuati e puniti, ma fu avviato un procedimento penale contro i responsabili di Google che, secondo l'accusa, avrebbero dovuto vigilare preventivamente per impedire la diffusione di quel filmato.

Al processo si sono costituiti parte civile il Comune di Milano e l'associazione ViviDown.


Qual è il problema con questo processo? Che l'assunto dell'accusa è che chi gestisce un servizio internet pubblico di pubblicazione e condivisione di contenuti non sia un semplice intermediario, ma sia anche responsabile dei contenuti stessi, analogamente a quanto succede per il direttore di un periodico rispetto agli articoli che pubblica.


L'assimilazione di servizi informativi basati sul web ai tradizionali organi di stampa non è nuova e, quando non deriva semplicemente da ignoranza, ha immancabilmente intenti repressivi. Nel caso che ci interessa, è chiaro che per una infrastruttura in cui un pubblico mondiale può inserire contenuti e quindi gestisce milioni di video, non è pensabile anche solo dal punto di vista pratico che il gestore dell'infrastruttura analizzi preventivamente tutti i contenuti (lo stesso vale per quei siti, come il nostro, che permettono a terzi di introdurre contenuti, e ne hanno molto meno di YouTube ma anche anche meno mezzi per analizzarli), oltre al fatto che il ruolo di quel servizio è palesemente quello di intermediario e non di produttore di contenuti. Google Video e YouTube non sono pubblicazioni unitarie come lo è un periodico.


Attribuire agli intermediari responsabilità che sono dei produttori di contenuti serve a una cosa: a impaurirli in modo che mettano in atto una censura sui contenuti, oppure - se sono piccoli - che spariscano non potendo correre il rischio di cause e richieste di danni.


Ciò riguarda anche siti i siti del volontariato, i siti "dal basso" come il nostro: e ViviDown, che ha un suo sito, non ha pensato che un giorno potrebbe essa stessa ricadere nelle maglie della censura strisciante che, costituendosi parte civile contro Google, contribuisce a promuovere?


Un ottimo commento alla vicenda è quello di Dario Meoli su ZeusNews.