Nuova pericolosa sentenza del Consiglio di Stato

Date 2015/12/20 16:07:04 | Topic: Sanità

La recente sentenza 5538 del Consiglio di Stato crea nuovi problemi per l'assistenza domiciliare alle persone non autosufficienti.
Nel 2014 numerose associazioni, tra cui il GVA, avevano presentato ricorso al TAR Piemonte contro alcune deliberazioni della Giunta Regionale piemontese, approvate nel 2013 dalla giunta Cota, che spostavano dall'ambito sanitario a quello assistenziale l'assegno di cura per i malati non autosufficienti che rimangono al loro domicilio. Le prestazioni di tipo più strettamente medico e infermieristico (es. prelievi, terapie) non sono in discussione, mentre sono interessate quelle di tipo tutelare (per intenderci del tipo di quelle fornite dalle cosiddette badanti, prestazioni che quando sono riferite a soggetti non autosufficienti sono però evidentemente del tutto necessarie).

Il ricorso era motivato dal fatto che le prestazioni di cui si tratta sono in realtà previste dai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e quindi rientrano pienamente nell'ambito sanitario come diritti esigibili.

Il TAR Piemonte, con sentenza 156/2015 aveva accolto il ricorso annullando le delibere regionali (con altre sentenze del tutto analoghe aveva accolto i ricorsi presentanti dal diversi comuni e consorzi socioassistenziali).

La nuova giunta Chiamparino, nel frattempo insediatasi, in un primo tempo sembrava non intendesse presentare ricorso (come ci aveva direttamente assicurato in un email l'assessore alla sanità Saitta), ma poi l'ha presentato, dimostrando quindi piena continuità con la politica della gunta precedente, ed appunto questo ricorso è oggetto della sentenza 5538/2015 del Consiglio di Stato.

Questa sentenza accoglie il ricorso della Regione e quindi rimette in vigore le delibere che erano state impugnate, con l'effetto di rendere molto più difficile e precario il contributo per le cure domiciliari nel senso indicato sopra.

A proposito di questa sentenza richiamiamo immediatamente l'attenzione sull'approfondito commento del CSA di Torino.

Da parte nostra aggiungiamo alcune considerazioni.

La sentenza presenta principalmente due aspetti.

Il primo è una interpretazione restrittiva dei LEA, perché con troppa facilità il Consiglio di Stato considera extra-LEA, ossia fuori dall'ambito sanitario prestazioni che non sono di stretta natura medica, come sarebbero appunto iniezioni o somministrazione di terapie, senza considerare il ruolo che assumono tali prestazioni se riferite ad un malato grave non autosufficiente. Ragionando in questo modo, si potrebbe sostenere che anche la somministrazione di cibo negli ospedali non è di natura sanitaria e quindi non deve essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale ma del malato stesso!

Altre argomentazioni però rimandano a leggi restrittive di carattere finanziario che sul piano giuridico sono putroppo sullo stesso rango dei LEA, e senza modificarli espressamente finiscono per comprometterne l'attuazione, che evidentemente non può avvenire senza una adeguta disponibilità di risorse, anche se indubbiamente se ne potrebbero recuperare ottimizzando maggiormente la spesa pubblica e quella sanitaria in particolare.

Al Consiglio di Stato d'altra parte si può richiedere di interpretare meglio i LEA e non in senso contrario ai diritti dei malati, ma non gli si può chiedere di modificare le leggi finanziarie, che sono responsabilità del parlamento e di cui un organo giurisdizionale può solo prendere atto.

La sentenza quindi avrebbe potuto essere migliore, ma non avrebbe potuto dissipare tutti i pericoli che gravano sui servizi sanitari pubblici.

Considerando la situazione nel suo assieme di aspetti guridici, economici e politici, possiamo osservare che non ci sono state modifiche dei LEA in senso restrittivo, forse perché ancora considerate politicamente imbarazzanti, ma c'è stato un costante taglio di risorse che, essendo stato condotto per via legislativa, ha determinato una sorta di dialettica tra provvedimenti di orientamento diverso (gli uni che partono dai diritti dei malati, gli altri che partono dal risparmio) di cui finiscono per fare le spese proprio i cittadini più deboli. Questo anche perché l'idea di risparmio da cui si parte non è quella dell'ottimizzazione delle risorse e dell'eliminazione degli sprechi, ma quella che mette come centro della politica la riduzione del debito pubblico a tutti i costi e la contemporanea compressione di tutto ciò che è pubblico e sociale (su queste politiche economiche si possono consultare, ad esempio, le opere di Luciano Gallino oppure l'audio di questa conferenza di Nicola Boidi, da noi organizzata il 12 giugno 2015; si possono vedere anche gli articoli dello stesso Nicola Boidi che appaiono sul sito Città Futura Alessandria).

L'effetto immediato è che rispetto al passato diventa più difficile difendere i diritti con mezzi esclusivamente giuridici (che pure rimangono necessari e rimangono a disposizione, anche se per così dire depotenziati, almeno in alcuni casi) ma è necessario prendere in considerazione sempre maggiore l'aspetto politico ed economico, anche se questo è difficile per una piccola associazione ed non è immediatamente applicabile alla difesa dei casi singoli.

Contro una politica di questo genere è anche facile obiettare che contribuire all'assistenza domiciliare è meno costoso che pagare le rette delle RSA. L'obiezione però è rilevante per chi cerca di individuare il modo migliore per assistere i malati, ma non ha alcun peso per chi vuole distruggere l'assistenza pubblica in tutte le forme, sia quella domiciliare che quella residenziale. Il prossimo passo potrebbe benissimo essere l'attacco al diritto al ricovero in strutture residenziali (e poi magari, sistemati per bene i soggetti cronici e lungodegenti, perché non cominciare a negare le cure anche ai pazienti acuti?).

Nella pratica, dopo questa sentenza è diventato più difficile richiedere le prestazioni domiciliari di tipo tutelare. Il citato documento del CSA a questo proposito dice:


per i casi individuali, nel caso le prestazioni assicurate dai congiunti, affidatari, volontari, badanti degli anziani
malati cronici non autosufficienti o delle persone con demenza senile, così come delle persone colpite da autismo o
da disabilità invalidante grave e non autosufficienza, rimane pienamente legittimo inoltrare istanza all’Asl di
residenza per la copertura del 50% di tali prestazioni di «aiuto infermieristico ed assistenza tutelare alla
persona» laddove un medico certifichi per iscritto che tali prestazioni sono «indifferibili in relazione al quadro
clinico riscontrato e di natura sanitaria e non meramente assistenziale». In caso di mancata risposta o rifiuto
della prestazione, come per tutti i diritti esigibili, è possibile rivolgersi al giudice del lavoro per ottenere l’erogazione
della prestazione ed il recupero dei danni patrimoniali subiti


tuttavia questa soluzione sembrerebbe di esito più incerto del passato, perché le ASL possono opporre alla richiesta sia le delibere regionali che la sentenza 5538. Infatti la richiesta si basa sul dichiarare che sono di natura sanitaria proprio le prestazioni che il Consiglio di Stato ha affermato, ancorché arbitrariamente, non esserlo.



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